Giovedì 4 dicembre 2025
Per oltre trent’anni referente della comunicazione del museo – settore che ha creato da zero – Antonia Caola è da poco andata in pensione. Trent’anni di idee, visione e intuizioni che hanno contribuito a rendere il brand MUSE riconoscibile in tutto il mondo. Le abbiamo fatto qualche domanda.
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Da dove nasce la tua passione per la comunicazione? E come sei arrivata al Museo tridentino di scienze naturali?
Fin da bambina ero affascinata dalla parola, scritta e parlata. Credo per via di una curiosità naturale verso tutto ciò che è inusuale e un po’ strano. Anche il mio arrivo al museo è stato, in un certo senso, “strano”: nel 1992 cercavano un’interprete di cinese per dialogare con i tecnici che stavano montando gli scheletri di dinosauro provenienti dal Museo di Shanghai. Lavoravo già come interprete per alcune aziende italiane e mi sono proposta. Per settimane ho fatto da ponte tra due culture lontanissime, aiutando a dare voce a competenze e mondi totalmente diversi tra loro.
Conclusa la mostra dei “draghi paurosi” – così in cinese si chiamano i dinosauri – il museo ha continuato a coinvolgermi in attività legate alla comunicazione, fino all’incarico di addetta stampa nel 2008. Da lì è iniziata la mia lunga avventura.
Dall’ufficio stampa alla nascita del brand MUSE: che viaggio è stato?
Un viaggio entusiasmante e impegnativo. All’inizio ero da sola a occuparmi di comunicazione, poi negli anni la squadra è cresciuta fino a diventare un team di otto persone. Insieme abbiamo costruito un sistema capace di coprire le crescenti necessità inerenti all’informazione giornalistica, la promozione di ogni iniziativa offerta al pubblico e la diffusione dei contenuti tramite il web e i canali social.
È stato emozionante vedere come, passo dopo passo, il museo prendeva voce, identità e riconoscibilità.
A cosa vi siete ispirati nel vostro modo di lavorare?
Più che a modelli strutturati, ci siamo affidati a quattro principi: chiarezza, precisione, trasparenza e puntualità. Abbiamo osservato le buone pratiche di altre istituzioni, prendendo spunto senza mai smettere di sperimentare. Il mio mantra è sempre stato: “la parola crea mondi”. La parola non è solo un suono o un segno: è ciò che permette di condividere significati, emozioni, valori. Comunicare, in fondo, è un gesto profondamente collettivo.
Forse è anche per questo che, pur essendo per anni “la mosca bianca” in mezzo a tante scienziate e scienziati, mi sono sempre sentita parte del progetto. Venivo da una formazione linguistica e letteraria, non dalla scienza, ma questo non mi ha mai frenata. Anzi, è stato uno stimolo continuo.
Il momento più emozionante?
Senza dubbio l’inaugurazione del MUSE nel 2013. Stavamo traslocando proprio nei giorni dell’apertura: scatoloni ovunque, computer appena accesi, cartelle stampa da rifinire, mille dettagli da controllare. Tanta stanchezza, ma anche tanta adrenalina. E poi, quel giorno, è successo qualcosa che nemmeno noi ci aspettavamo: una vera e propria marea umana. Migliaia di persone in fila, nonostante il caldo assurdo di quel luglio. Più di 20 mila visitatrici e visitatori in due giorni. È stato un momento di orgoglio collettivo: la sensazione di aver costruito qualcosa che apparteneva a tutte a tutti.
Cosa ti ha lasciato il museo? Come ti è entrato nel DNA?
Ho imparato che un museo non è un luogo fermo, polveroso o chiuso: è un organismo vivo, che cambia, crea, dialoga con la comunità. Grazie a molte colleghe e molti colleghi ho capito quanto lo sguardo scientifico aiuti a mettere ordine nel mondo, a interpretare ciò che non conosciamo.
E qui ho anche capito cosa significa lavorare in un’istituzione pubblica: assumersi una responsabilità culturale, mettere la conoscenza a disposizione di tutte e tutti, senza barriere. È una missione che dà senso al lavoro quotidiano.
E poi c’è il divertimento: è sempre stato fondamentale per me. Un sorriso, un po’ di ironia, rendono tutto più leggero, anche i momenti più tesi. Lavorare in un ambiente creativo e pieno di stimoli mi ha arricchita ogni giorno. Ho avuto il privilegio di crescere, imparare e, sì, anche divertirmi moltissimo. Perché, in fin dei conti, stare bene al lavoro dovrebbe essere la regola, non l’eccezione.
Articolo di
Tommaso GasperottiRelazioni istituzionali e ufficio stampa
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