14 novembre 2025
La sigla COP indica la Conference of Parties, la conferenza che riunisce quasi duecento paesi firmatari dell’accordo sul clima delle Nazioni Unite del 1992. Da oltre trent’anni rappresenta il principale tavolo globale dove governi, scienziate/i e società civile discutono come affrontare la crisi climatica, alla luce dei dati dell’IPCC, il gruppo internazionale che studia gli effetti del riscaldamento globale.
Le decisioni non sono vincolanti, ma le COP restano fondamentali per orientare le politiche comuni e spingere la riduzione della CO₂, il principale gas serra generato dall’uso dei combustibili fossili.
La COP30, ospitata a Belém, segna un passaggio cruciale: dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, il mondo deve dimostrare di saper trasformare le promesse in azioni. I piani nazionali di riduzione delle emissioni, finora, non bastano a mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 °C. Ecco perché questa conferenza è attesa come il momento in cui ridefinire gli impegni climatici e il modo stesso di cooperare.
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Belém non è una città qualunque: è la porta dell’Amazzonia, simbolo di biodiversità ma anche frontiera del disboscamento e del cambiamento climatico. Qui, si discute non solo di emissioni, ma di giustizia climatica, diritti delle popolazioni indigene e tutela delle foreste tropicali. È il riconoscimento che la crisi climatica è anche una crisi della natura e dei modelli di sviluppo.
Tra le attese principali: un nuovo obiettivo di finanza per l’adattamento, la definizione di piani nazionali più ambiziosi e una spinta verso una transizione energetica giusta, capace di coniugare riduzione delle emissioni e inclusione sociale. Ma restano forti le incognite: gli interessi economici, le tensioni geopolitiche, la lentezza nell’attuazione delle promesse.
La speranza è che Belém non sia soltanto un simbolo verde, ma l’inizio di una stagione di responsabilità concreta. Perché la finestra di azione si sta chiudendo, e questa potrebbe essere una delle ultime occasioni per tenere il pianeta sotto la soglia del disastro climatico.
Dal cuore dell’Amazzonia, un invito all’azione: meno promesse, più fatti. Ma anche più immaginazione.
Perché il futuro non è scritto: dipende dalle scelte che compiamo oggi, dalla capacità di prevedere scenari, di pensare il domani prima che accada. È questa forse la sfida di Belém — trasformare la paura in visione, la crisi in possibilità.
Alla Cop30 partecipa una delegazione di nove tra giovani e ricercatrici e ricercatori del Trentino, parte del progetto “Racconta il clima alla COP dell’Amazzonia”, promosso dall’associazione Viração&Jangada, che mira a sostenere attività di informazione, comunicazione ed educazione sulla crisi climatica e sulla partecipazione giovanile ai negoziati internazionali sul clima.
Nelle prossime settimane vi racconteremo gli esiti della conferenza
Articolo di
David TombolatoUfficio programmi per il pubblico, MUSE
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