Ad Halloween, viaggio nel Medioevo dei veleni
Intervista a Beatrice del Bo
Intervista a Beatrice del Bo
23 ottobre 2025
Beatrice Del Bo è una donna carismatica e profonda conoscitrice di una passione diventata professione: il Medioevo. Docente di Storia economica e sociale del Medioevo presso l’Università degli Studi di Milano, ha esplorato con il suo ultimo libro Arsenico e altri veleni. Una storia letale nel Medioevo, l’affascinante e complesso mondo degli speziali, dei veleni e delle pratiche curative (e mortifere) legate al mondo naturale.
Il libro di Beatrice Del Bo ci porta indietro nel tempo, ci mostra attraverso parole e iconografie un mondo che sta imparando (o forse reimparando) a conoscere ogni dettaglio della natura che ci circonda. Non mancano credenze e superstizioni legate al male, all’eresia e ai peccati capitali che prendevano facilmente le sembianze di un rettile, di un rospo o di chimere come i basilischi. Non mancano gli intrighi e i sotterfugi che gli avvelenamenti più famosi richiedevano.
Le abbiamo fatto qualche domanda, in attesa di incontrarla di persona il 31 ottobre alle 18.30 al Muse durante il talk “Avvelenati” (prenotazioni su Ticketlandia). L’appuntamento, rivolto a persone adulte, si inserisce nel pomeriggio di attività ideate per il pomeriggio di Halloween e invece dedicate alle famiglie.
Continua…
Beatrice, come nasce la tua passione per il Medioevo?
“La passione nasce da un manuale di storia del Medioevo in adozione al liceo che frequentavo. Il manuale è stato scritto da Rinaldo Comba, grande storico medievalista che, per primo, mi ha permesso di leggere la storia da un punto di vista diverso e inusuale per un manuale scolastico: non si parlava solo di guerre, tattiche militari e date da ricordare, ma venivano messe in evidenza le questioni sociali ed economiche del tempo; l’attenzione era sulle persone. In quel momento ho capito il senso civico di studiare la storia e quanto la società di allora possa aver avuto delle influenze su quella di oggi, rimanendo ovviamente in un contesto Europeo. Rinaldo Comba l’ho ritrovato poi all’Università ed è con lui che ho studiato. È come se si fosse chiuso un cerchio”.
E l’idea di scrivere un libro sui veleni?
“In realtà non è stata una mia idea, me l’hanno proposto e in un primo momento ho rifiutato. Ho cambiato idea quando ho capito che le mie parole avrebbero potuto smontare dei luoghi comuni sul Medioevo come periodo buio, ma soprattutto sulle donne da sempre viste come vecchie streghe davanti a grandi pentoloni in ebollizione. Era anche un’occasione per raccontare mondi professionali come quelli degli speziali e delle loro spezierie, luoghi incredibili, ricchi di conoscenze legate al mondo naturale e alla medicina”.
Quindi non erano le donne le streghe e le avvelenatrici per eccellenza…
“Quella dello speziale, così come tutte le altre professioni, erano prerogative maschili. Le donne non lavoravano né avevano la possibilità di studiare discipline come la medicina o la farmacia. Lo speziale deve saper scrivere e leggere e, delle diverse sostanze, doveva conoscere al meglio sia le qualità curative che quelle tossiche e nocive quindi no, non immaginiamoci streghe che trafficano in vecchie baracche con intrugli a base di erbe e zampe di rospo. A richiedere i veleni poi erano soprattutto uomini, tendenzialmente potenti e di alto rango che volevano far fuori i loro competitori. Ovviamente anche le donne erano in grado di avvelenare qualcuno, ma dovevano permetterselo economicamente”.
Nel tuo libro viene spesso citato il Trentino e la città di Trento. Era un buon posto per diventare speziali?
“Il Trentino era un ottimo posto per diventare speziali e procurarsi tutto quello che poteva servire, anche per avvelenare qualcuno. La natura era rigogliosa e la disponibilità di piante curative e tossiche, funghi, minerali e animali velenosi come le vipere, era alla portata di tutti coloro che le sapevano riconoscere. Ovviamente molti prodotti venivano acquistati anche dall’estero, ma sicuramente rispetto ad una città come Milano le possibilità di reperimento erano nettamente superiori”.
Ed è di Trento quella che tu definisci “La superstar della botanica italiana”?
“Pietro Andrea Mattioli (1501-78) è decisamente una superstar nel campo della botanica. Studia a Siena, Venezia e Padova ma poi si rifugia a Trento, per la precisione in Val di Non. Qui si dedica alla medicina e allo studio dei vegetali e il principe-vescovo Bernardo Cles, illuminato per la ricerca scientifica, gli affida la cura del giardino del castello del Buonconsiglio. È suo il testo di botanica e farmacia di maggior successo del suo secolo ed è grazie a lui che si sono ampliate le conoscenze legate alla botanica, al mondo delle erbe, anche di quelle potenzialmente più tossiche. Ancora alla fine dell’Ottocento tutti gli erboristi trentini possedevano una copia del Mattioli”.
Articolo di
Elisabetta FilosiUfficio programmi per il pubblicoMediazione culturale |
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