Elisabetta Filosi, mediatrice culturale del MUSE, ci propone un viaggio tra i vari comparti di ricerca del museo. Recandosi direttamente sul campo, ci racconta dal suo punto di vista di persona non addetta ai lavori cosa vuol dire fare ricerca; un lavoro meticoloso, lungo e paziente, fatto di raccolte di dati, osservazioni, reportistiche e revisioni. Un impegno che si finalizza, spesso, in una pubblicazione scientifica, ma che non è riassumibile tutto in quelle pagine.
La prima “puntata” di questa serie è dedicata alle ricerche condotte da più settori di ricerca sull’Altopiano di Vezzena.
Cosa ci fanno esperte/i di botanica e zoologia insieme in un bosco? È quello che mi sono chiesta anch’io quando ho scoperto che ricercatrici e ricercatori del Muse avevano in programma intere giornate di campo sull’altipiano di Vezzena. Proprio qui, dal 2017, il museo studia la popolazione di Salamandra atra aurorae, una sottospecie di salamandra alpina endemica (vive solo lì!) dell’area di studio. Viene quindi spontaneo pensare alla presenza degli zoologi ma, in questo caso, oltre a Luca Roner ed Emma Centomo, zoologi del MUSE e Antonio Romano, ricercatore dell’Istituto per la BioEconomia del CNR, troviamo anche la botanica Lisa Angelini munita di Flore (preziosissimi manuali di identificazione delle piante), lente d’ingrandimento e di una pressa homemade. Presenti sul campo anche Diego Ivan, botanico del Muse e Noemi Vallortigara, tesista il cui lavoro verterà proprio sullo studio raccontato.
Continua…
Ci inoltriamo in un bosco dominato da faggio, peccio e abete bianco e, seguendo una strada dissestata, ci portiamo in prossimità di alcuni dei 30 plot scelti per questo studio. Un plot, per capirci, è un’area prescelta di 400 mq (20x20m) nella quale vengono raccolti i dati.
Ma quali dati? Oltre a quelli strettamente legati alla presenza o meno della salamandra, vengono raccolte informazioni che permettono di descrivere il plot e di avere una “fotografia ecologica” di esso.
Mi spiego meglio: per ogni plot viene valutata la copertura vegetale d’alto fusto (quanti faggi, quanti pecci, quanti abeti bianchi… e in quale percentuale sono presenti nell’area); la copertura percentuale del muschio e delle rocce nude; il tipo di lettiera (se di aghifoglie o latifoglie) e la quantità di potenziali rifugi per le salamandre.
Mi trovo ad assistere alla misurazione di questo ultimo dato: Emma e Antonio dividono il plot in quattro settori aiutandosi con cordini e metri a nastro e iniziano a prendere nota di tutto ciò che potrebbe costituire un riparo per la salamandra. Misurano le cavità alla base degli alberi, i tronchi a terra sotto i quali potrebbero nascondersi gli animali, le ceppaie, le rocce affioranti e le cataste di ramaglie.
Tutte queste misurazioni serviranno a dare una stima di quanta superficie è idonea al rifugio. Procedono veloci e sicuri, uno misura e l’altro prende nota aggiungendo dati su dati che poi, con pazienza , andranno analizzati, incrociati ed elaborati. Oggi andrà così, plot dopo plot, finiranno tutte le misurazioni relative ai rifugi.
Li saluto e mi sposto a piedi per raggiungere Lisa e Luca che si stanno occupando della parte botanica. Forse finalmente capirò il nesso tra le due discipline! Li trovo in una vecchia trincea scavata nella roccia e ormai ricoperta di vegetazione. Hanno già individuato più di 90 specie botaniche in quel plot, dalla più piccola briofita alla più grande e maestosa felce. Accanto ai nomi, dei numeri indicano una stima della copertura percentuale di quella specie in quell’area.
Rimango sempre affascinata da come il cervello dei botanici riesca a processare e a ricordare tutti quei nomi. Mi affascina quello di Luca che, nonostante si sia sempre occupato di zoologia, inizia ad assimilare per osmosi nomi scientifici di piante grandi quanto l’unghia del mio mignolo. Mi mostra la sua preferita: la Prenanthes purpurea una delle poche fiorite in questo periodo nel bosco.
“Ogni specie” spiega Lisa “è più o meno selettiva per un certo ambiente e quindi per un determinato microclima. Ci sono specie più cosmopolite e quindi maggiormente adattabili e specie più legate a specifici habitat”.
A tal proposito mi parlano degli Indici di Ellenberg che, semplificando, sono dei numeri che indicano le preferenze ecologiche di una pianta, cioè le condizioni ambientali in cui quella pianta cresce meglio. A ogni specie vegetale è associato un numero (di solito da 1 a 9) per diversi fattori ecologici, tra cui la luce, la temperatura, l’umidità del suolo, il pH… Vien da sé che una pianta con indice luce L = 8 è una pianta che sopravvive bene laddove c’è molta luce e che quindi cresce in aree soleggiate. In altre parole, questi indici servono per capire com’è un ambiente, in base alle piante che ci crescono.
Sto iniziando a mettere un po’ insieme le informazioni e piano piano riesco a comprendere l’importanza e il valore di questo lavoro integrato. La vegetazione può essere un buon indicatore per “fotografare” il microclima di un determinato ambiente.
Analizzando l’immensa mole di dati raccolta in queste settimane di campo, le nostre esperte /i dovranno capire se la stessa può essere, indirettamente, un buon indicatore anche per stimare la presenza delle salamandre.
In altre parole, ci si domanda: se non possiamo o non riusciamo a osservare direttamente qualcosa (in questo caso la salamandra), possiamo affidarci a qualcos’altro (la vegetazione) che ci dia un’idea attendibile del dato che stiamo cercando? Al momento non lo sappiamo, ma sono sicura che, una volta tolti gli scarponi e riacceso il pc, ricercatrici e ricercatori riusciranno a darci una risposta!
Un lavoro immenso quello che stanno portando avanti; uno studio ambizioso e innovativo sull’ecologia di un’area di estremo valore naturalistico, purtroppo una delle aree più compromessa dalla tempesta Vaia e sulla quale l’attenzione deve rimanere elevata perché possa, nel tempo, garantire le meraviglie che ha saputo costudire fino ad ora.
Articolo di
Elisabetta FilosiMediazione culturale |
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